Arcidiocesi
di Ferrara-Comacchio

 
 

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Cenni storici

CENNI STORICI SULLA CITTÀ E SULL'ARCIDIOCESI

L'Arcidiocesi di Ferrara si trova interamente nella provincia omonima che contiene anche parte notevole delle Arcidiocesi di Bologna e di Ravenna. La città entro le mura è formata da due zone: a Sud la più antica; a Nord la parte nuova, con planimetria regolare, ideata dal Duca Ercole d'Este (1471 - 1505), e realizzata da Biagio Rossetti. Il centro è costituito dalla Cattedrale, dal Castello e Palazzo Arcivescovile e Comunale. Fuori le mura la città si è molto sviluppata a Sud, a Nord-Ovest e ad Est, dando vita a numerose industrie. La campagna circostante è ricca di prodotti agricoli. Il Po facilita la navigazione interna, come nella antichità, mediante la linea fluviale che collega Venezia con Milano.

FERRARA, la cui etimologia è incerta, ma sicuramente medievale, ha origine oscure, che si fanno risalire al periodo romano, come dimostrano resti archeologici recentemente scoperti. Mentre mancano notizie precise per Ferrara nell'epoca Romana si hanno notizie dell’antica VOG HENZA o «Vicus Auentinus» a 13 Km. dalla città. I vi infatti, si rinvennero alcuni sarcofaghi pagani. I primi documenti (774} ricordano il passaggio del Ducato di Ferrara dal potere dei Longobardi a quello dei Pontefici, che lo ressero a mezzo di vicari, tra cui ricordiamo i Marchesi di Canossa. In regime comunale vi dominarono alternativamente le famiglie Torelli-Salinguerra ghibellini, ed i Marcheselli-Adelardi guelfi. Nel duecento Ferrara si assoggettò spontaneamente ai marchesi d'Este, che, come Vicari della Sede apostolica, la governarono fino al 1597. Lo splendore a cui pervenne in questo periodo, la resero una delle città più sfarzose e più colte d'Europa. Gli Estensi costruirono il Castello (1385), fondarono l'Università (1391), introdussero ben presto la stampa {1471), ampliarono la città, circondandola di mura, ebbero legami di parentela con i Papi e i regnanti dell'epoca. Estintosi il ramo diretto della famiglia Estense (1597), il Ducato di Ferrara fu governato direttamente dalla Santa Sede, a mezzo di Cardinali Legati.

Dal 1700 al 1815 seguì le sorti d'Italia, e con il Trattato di Vienna, tornò ai Pontefici fino al 1859 per essere poi annessa al novello Regno d'Italia nel 1860.  L'Arcidiocesi è situata nella fertile pianura padana, su terreno ormai completamente redento dalle paludi. La Religione cristiana è stata qui portata, come in tutta l'Emilia, probabilmente, alla fine del II secolo. L'erezione della nostra Diocesi risale alla fine del IV secolo, con sede episcopale in Voghenza. L'esistenza di questa prima dimora dei Vescovi ferraresi, tanto discussa in passato, è ora comunemente ammessa. Distrutta l'antica Voghenza, acquistò grande importanza l'incipiente città di Ferrara, presso l'attuale Borgo San Giorgio, dove anche per sottrarsi meglio al dominio degli Arcivescovi di Ravenna, si trasferì la nostra sede episcopale. Eretta la nuova Cattedrale (1135), detta sede fu sistemata nelle sue vicinanze. Allora la Diocesi di Ferrara, oltre il centro urbano, comprendeva queste pievi: San Giorgio oltre Po, Gaibana, Voghenza, Contrapò, Tresigallo, Formignana, Copparo, Tamara, Ruina, Sette Polesini, Vigarano di sotto, Fiesso, Stienta, Trecenta, Ficarolo, Ceneselli, Bergantino, Sariano, Melara, Calto, San Tomaso sotto Burana, San Matteo in Mizzana, San Lazzaro di Quacchio, Francolino, e San Martino della Pontonara. La Diocesi era suffraganea di Ravenna; passò poi direttamente sotto la Santa Sede (dal 774), nonostante le pretese mai spente degli Arcivescovi di Ravenna, pretese finite definitivamente dalla Santa Sede, che nel 1735 elevò Ferrara ad Arcivescovado. Fu parte della Regione Conciliare Flaminia. I suoi confini sono: a NORD - Diocesi di Adria­Rovigo (Fiume Po); ad EST - Arcidiocesi di Ravenna; a SUD - Arcidiocesi di Bologna; ad OVEST - Arcidiocesi di Modena e Diocesi di Mantova.

 

VOGHENZA E FERRARA

Le origini della diocesi affondano nelle tradizioni storiche, ma l'assenza di coeve fonti documentarie e l'eterogeneità dei reperti archeologici portano ad essere ponderati e cauti. La genesi della diocesi ferrarese si ha nella Chiesa voghentina o, come era chiamata, vicoabentina: Voghenza {paese tuttora esistente e sede di un episcopato titolare) era un importante centro romano dell'Impero e S. Pier Crisologo, vescovo di Ravenna, nel 431 a Voghenza consacra vescovo Marcellino. Approfondire la questione sarebbe lungo, difficile e, forse, anche sterile, ma resta certo che -secondo l'ultima cronotassi­Marcellino è il primo vescovo di Voghenza e la Chiesa vicoabentina, di probabile fondazione ravennate (ove era la flotta che sorvegliava il mar Adriatico}, è diocesi nella prima metà del sec. V. Toccherà ai vescovi successori la traslazione della cattedra episcopale -a metà del sec. VII- da Voghenza alla sede di S. Giorgio «in massa Babilonia aut Ferrariola». Molteplici concause hanno (o possono avere) determinato la traslazione e non vanno sottaciute le ostilità fra Longobardi e Bizantini, con i provvedimenti adottati dalle autorità bizantine di Ravenna per fronteggiare i longobardi; la perdita d'importanza di Voghenza; la maggiore sicurezza contro eventuali attacchi e invasioni; il riordino longobardo delle diocesi e, cosa determinante, il dissidio che nel sec. VII contrapponeva gli arcivescovi di Ravenna alla Sede romana.  I primi vescovi vicoabentini-ferraresi spostano dunque la loro sede in S. Giorgio traspadano, nel cuneo tra il Volano e il Primaro. Il castrum bizantino di Ferrara, però, diviene un centro abitato di notevoli dimensioni urbanistiche ed abitative: i vescovi vi trasferiscono la sede, mitigando l'influenza giuridica degli arcivescovi ravennati nel ferrarese ed erigono a partire dal 1135 una nuova cattedrale, titolandola ancora a San Giorgio e alla santissima Madre di Dio. Nella sua storia della Chiesa ferrarese scrive mons. Antonio Samaritani che «solo nel 1144 si avrà da una lettera papale un elenco vero e proprio di pievi che rimarrà sostanzialmente immutato sino a tutt'oggi». La ricostruzione del passato (non solo altomedievale per mancanza di documenti, ma pure bassomedievale) resta complessa, ma è indubbio che la Cattedrale fu il fulcro della vita religiosa, e non solo. La Cattedrale conobbe avvenimenti straordinari: dai congressi dei comuni della Lega Lombarda, tenuti da papa Innocenzo III, alla venuta a Ferrara di Innocenzo IV dopo la vittoriosa resistenza all'imperatore Federico II; dalla crociata contro Ezzelino da Romano al trasferimento a Ferrara nel 1438 del concilio di Basilea. Oltre al vescovo Landolfo, costruttore della nuova Cattedrale e promotore di numerosi sinodi, va qui ricordato -pur se successivo di oltre un secolo- il bresciano beato Alberto Pancioni, vescovo cittadino dal 1258: traslato da Piacenza per motivi politici, morì quale pastore in fama di santità (t 14 agosto 1274); il suo corpo venne trasferito e sepolto nell'antica cattedrale di S. Giorgio ed il suo ricordo ha avuto risonanza per molto tempo.  Dal 1187 ha inizio per Ferrara la dominazione estense: con il marchese Obizzo, che si oppone ai Torelli per il predominio della città, e tra parentado e figli, il casato d'Este si protrarrà fino al 1598, con la morte del duca Alfonso II e la Devoluzione dell'ex ducato alla Santa Sede. Gli Estensi avevano creato un piccolo Stato, importante nell'equilibrio politico e nella cultura, che andava diffondendosi nelle corti principesche. Ciò era stato reso possibile dal ritorno del papato da Avignone a Roma. Il potere pontificio centrale, preoccupato di contenere e respingere l'imperatore tedesco al nord e i principi angioini a sud, aveva portato ad un mosaico di Stati, grandi e piccoli, e la Santa Sede, sempre più stata politicamente implicata, aveva finito per diventare soprattutto un'organizzazione burocratica. Desiderio di riforma e appello ai concili non avevano mutato la situazione, nonostante disparati personaggi vivessero e si adoperassero in tal senso, non ultimo il beato Giovanni Tavelli da Tossignano, vescovo cittadino dal 1430 al 1446. Gli succede sulla cattedra il padovano Francesco dal Legname e, con questi presuli, si avrà una ripresa dell'attività episcopale, benché la seconda metà del secolo veda praticamente l'assenza dei presuli. I moti di riforma, soprattutto nei secc. XIV e XV, si erano impegnati a far fronte alla decadenza dei vecchi Ordini monastici, canonicali e mendicanti, e va tenuto conto dell'importanza e della presenza in città di benedettini, certosini e olivetani, di francescani, domenicani, carmelitani e serviti, nonché dell'esistenza della vita religiosa femminile (bastino il nome delle beate Beatrice estensi o di santa Caterina Vigri o della beata Lucia da Narni per dire come il mondo delle donne si sia affacciato prepotentemente sulla scena della vita religiosa.  Il luteranesimo e lo scisma d'Occidente trovano risposta nel cinquecentesco concilio di Trento, che modellerà per secoli la vita della Chiesa, e la riforma trova accoglienza e sostegno in stupende figure di pastori che danno il via ad un episcopato rinnovato (Matteo Giberti a Verona, Gabriele Paleotti a Bologna, Carlo Borromeo a Milano). Anche a Ferrar a l'episcopato riprende il suo ruolo di guida con alacre impegno a mezzo dei vescovi Paolo Leoni e Giovanni Fontana.

Nel seguito temporale, è innegabile una crisi secentesca politica ed economica, che investe però tutti i vari Stati italiani. Dire che con l'eclisse del casato estense la storia di Ferrara si è arrestata, non è corretto, come non è preciso l'obsoleto ritornello che dalla fine del Cinquecento il ducato ferrarese non appare più nelle vicende italiane e, con la sua scomparsa, si inaugura un'epoca di decadenza. Con il tramonto del dominio politico estense a Ferrara, essa non è più capitale di un ducato, bensì capoluogo di frontiera dello Stato pontificio e capoluogo della nuova realtà politico-amministrativa, la Legazione, per cui -oltre ad un cardinale vescovo- si ritrova contemporaneamente un cardinale Legato. Il governo pastorale della città e diocesi risente del mutamento, ma siedono sulla cattedra episcopale figure rilevanti, quali il fiorentino cardinal Lorenzo Magalotti. Vanno sottolineati la scomparsa del cumulo beneficiale e la prassi dell'obbligo di residenza per il clero secolare, e l'aumento numerico e delle famiglie religiose nel clero regolare.

La storia settecentesca, forse calcando un po' la mano, accusa di arretratezza lo Stato pontificio, ma è indubbia la stagnazione della situazione socio­economica. Tuttavia, il tridentinismo della seconda ondata, sollecitato dal sinodo romano del 1725, ha un'idonea recezione in diocesi, di cui il card. Tommaso Ruffo diviene il primo arcivescovo (1'8 dicembre 1976, col decreto Ad majus Christiftdelium della Congregazione per i Vescovi, Ferrara perderà la dignità metropolitica e diventerà suffraganea di Bologna, pur mantenendo il titolo arcivescovile). Con l'erezione della parrocchia di S. Matteo ad opera del card. Marcello Crescenzi, la città ne conta un totale di diciannove, mentre novantasei sono sparse nel territorio diocesano. Gran parte versa in condizioni economiche modeste, tuttavia l'intero arco del secolo conosce un non trascurabile fermento edilizio, a partire dalla {internamente) nuova Cattedrale e dal palazzo arcivescovile. La pietà popolare continua ad esternarsi anche nel Settecento attraverso il canale privilegiato delle confraternite, nonostante la critica di Ludovico Antonio Muratori ed il suo invito ad una regolata devozione.

La bufera della rivoluzione francese e dell'astro napoleonico avevano tutto cancellato o cambiato, ma la Restaurazione ripristina varie realtà, pur attuando quanto era stato a Vienna sancito; dal 1818 la cosiddetta traspadana ferrarese (con le sue dodici parrocchie, quali, ad esempio, Bergantino e Castelmassa, Ceneselli e Melara, Salara e Stienta) diventano stabilmente della diocesi di Adria, mentre le sei parrocchie adriesi, in territorio ferrarese (Mesola, Ro, Guarda, Zocca, Cornacervina e Rero ), passano alla diocesi di Ferrara. Il nuovo corso introduce Ferrara nella spiritualità ultramontana ottocentesca, incentrata sull'accentuata devozione al S. Cuore, sulla pietà mariana e sulla venerazione incondizionata al papato, emblematicamente rappresentato da Pio VI e da Pio IX.  La figura del Beato Pio IX sembra l'espressione di quella intransigenza di idee con cui la Chiesa ha tutelato e diffuso il Cristianesimo attraverso i secoli negli ambienti difficili. Il magistero del pontefice era stato considerato forse sufficiente dagli arcivescovi ferraresi che ritenevano inutili i sinodi e gradualmente applicavano le direttive pontificie. Ma il perugino card. Giulio Boschi {1901-1919), già segretario particolare di Leone XIII, sentendo la necessità di aggiornare la legislazione canonica ferrarese e di chiarificare la dottrina inficiata dal nascente modernismo, indisse il sinodo nel 1908 e molti dei decreti rimasero validi fino a oltre la metà del secolo scorso. Ad iniziativa di membri del laicato, nella tarda metà del sec. XIX era stato attivato il movimento di azione cattolica e sociale; il card. Boschi favorì l'opera dei Congressi aiutato dal conte Giovanni Grosoli, esponente caratterizzante per moderazione di prospettive innovatrici, ma di salda efficacia per concretezza di opere caritative e promozionali. Durante la prima guerra mondiale il Boschi si prodigò per l'assistenza spirituale e materiale dei militari.

In seguito alle mutate condizioni sociali, tanto mons. Francesco Rossi {1919-29), quanto l'indimenticabile mons. Ruggero Bovelli (1929-54), Defensor ciuitatis, lavorarono infaticabilmente. Infatti, il radicale cambiamento della società in quel cinquantennio, ed in modo particolare nel dopo guerra, aveva reso necessaria una revisione ed un ammodernamento di consuetudini e metodi. Il programma pastorale dei due zelanti arcivescovi era volto alla formazione del clero per adeguarlo alle nuove esigenze sociali, alla fondazione di asili parrocchiali per la ricristianizzazione della campagna, al potenziamento dell'Azione Cattolica per una più valida collaborazione e formazione dei laici e, infine, alla ricostruzione delle numerose chiese distrutte dai micidiali bombardamenti. Congressi eucaristici diocesani, congressi eucaristici interregionali e manifestazioni religiose sono servite per conservare la fede nel popolo. In forza del decreto Instantihus nohis della Congregazione per i Vescovi, il 30 settembre 1986 è stata stabilita la piena unione dell'arcidiocesi di Ferrara e della diocesi di Comacchio; la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale di arcidiocesi di Ferrara-Comacchio.

I Vescovi più illustri furono: S. MAURELIO, martirizzato durante la lotta iconoclasta, sostenuta dall'Arcivescovo di Ravenna Mauro (+ 657); il B. ALBERTO PANDONI, vescovo durante l'inizio della Casa d'Este (+ 1274}; il B. GIOVANNI TAVELLI da TOSSIGNANO precursore della riforma tridentina (+ 1446}; GIOVANNI FONTANA, già collaboratore di San Carlo in Milano (+ 1611); il Principe Card. TOMMASO RUFFO costruttore del Palazzo Arcivescovile, del Seminario e primo Arcivescovo di Ferrara (+ 1737); il ven. BONAVENTURA BARBERINI (+ 1743), il B. CARLO Card. ODESCALCHI, che nel 1826 passò a Roma come Cardinale Vicario, e poi morì Gesuita nel 1841.

Trai personaggi ferraresi più celebri ricordiamo: GIROLAMO SAVONAROLA (+ 1498); i cardinali Estensi mecenati dell'Ariosto e del Tasso; CELIO CALCAG NINI dotto in ogni materia (sec. XVI); il Cardinale GUIDO BENTIVOGLIO, nunzio Apostolico in Francia e Fiandra (+ 1644}; il gesuita DANIELE BARTOLI storico della Compagnia di Gesù (+ 1685); ALFONSO MUZZARELLI, autore della pia pratica mariana del mese di maggio (1785); il Card. CORNELIO BENTIVOGLIO fondatore della Biblioteca Ariostea (+ 1740); l'archeologo don VINCENZO BELLINI, Parroco di Cassana, che fondò il Museo Archeologico nel Palazzo Schifanoia (1758); il Can. M. A. GUARINI (+ 1638), autore di pregevole opera sulle Chiese di Ferrara; il Can. GIUSEPPE ANTENORE SCALABRINI, fra i maggiori eruditi del sec. XVIII; GIROLAMO FRESCOBALDI, principe dei musicisti ferraresi ed organista della Basilica di San Pietro (+ 1654). Nel XX secolo vanno ricordati gli storici Mons. ANTONIO SAMARITANI e Mons. DANTE BALBONI, dell'Archivio Vaticano.

 

COMACCHIO

La navigazione fluviale da Ravenna, legata al commercio interno, servì anche per diffondere il Cristianesimo. Confortati dalle ultime scoperte archeologiche, il sorgere della diocesi di Comacchio potrebbe quindi attribuirsi ad iniziativa romana del V secolo, in quasi contemporaneità al vescovato di Voghenza. Durante le lotte tra longobardi e bizantini probabilmente la diocesi si eclissa, ma -pur questa volta, per probabile iniziativa romana­ viene ricostituita a metà del 700 quale antemurale a Ravenna. Tralasciando l'eremitismo e la nascita di modesti edifici religiosi chiamati monasteria, è indubitata la concretezza di S. Maria in Padovetere; come è indubitabile la presenza di Cella Volana (ove vollero farsi seppellire i vescovi di Comacchio fino al XIII secolo), da cui sembra si sia evoluta la diocesi attraverso l'Aula Regia, che potrebbe essere stata la prima cattedrale. Le sorti dei vescovi di Comacchio appaiono quindi strettamente legate a quelle delle grandi abbazie del suo territorio e, in particolare, all'abbazia dell'Aula Regia, che vedrà il proprio declino all'affermarsi della potenza di Pomposa. Cella Volana, dunque, (o meglio, la canonica regolare di S. Giacomo di Cella Volana) può essere considerata la culla del cristianesimo comacchiese.  Ridottasi nel sec. XIII la circoscrizione ecclesiastica e feudale del vescovo di Comacchio alla ola città e al nucleo fondiario incentrato tra S. Vito e Libolla ove teneva sede ufficiale, venne meno la sua presenza in questa città (dal sec. XIV si portò a risiedere in Ferrara, sino ad oltre la metà del sec. XV, quando la disciplina del concilio di Trento lo rimise alla cura personale e diretta). La aggregazione attuale della diocesi si realizzò progressivamente, come a grandi tratti si cerca di delineare: alla fine del '200 il vescovo commuta la pieve di S. Vito con l'arcivescovo di Ravenna, ottenendone quella di Libolla, da allora entrata nella diocesi lagunare. A metà del '300 il vescovado di Comacchio (tramite la canonica regolare di Cella Volana) ha le parrocchie di S. Maria in Padovetere, Campolungo e la recentissima S. Giovanni (oggi d'Ostellato) e nel tardo '300 acquisisce Ostellato da Pomposa. Nel 1653 a Comacchio viene assegnata la parrocchia di Pomposa, mentre è solo del 1673, in territorio pomposiano, l'erezione della parrocchia di Vaccolino. A titolo di delega pontificia, nel 1752 sono aggregate alla diocesi le quattro parrocchie della prepositura pomposiana, cioè Codigoro, Lagosanto, Mezzogoro e Massenzatica (la pienezza della giurisdizione ordinaria, però, sarà solo dal 1936). Se nel 1827 si costituisce la parrocchia di S. Giuseppe nel Bosco Eliceo, è dal 1857 che alla diocesi verrà assegnata Mesola e le succursali quattro curazie (Bosco Mesola, Ariano pontificio, Goro e Gorino). Nel 1884 verrà eretta la parrocchia di Magnavacca (oggi Porto Garibaldi} e nel 1947 le verranno attribuite le otto parrocchie della diocesi di Cervia nel ferrarese. Sorgeranno poi altre parrocchie, specie durante gli episcopati Mosconi e Mocellini, a copertura dell'intera diocesi e dei suoi lidi marini. La vicenda della diocesi è stata sempre fortemente legata a quella della città, e del suo limitato originario territorio nel Delta del Po tra i suoi rami terminali del Volano e del Primaro. Il libero consorzio degli uomini di Comacchio, presente già avanti forse il 603, ha trovato durante il Medioevo e l'età del Rinascimento -di volta in volta- consonanza o alterità d'intenti con i vescovi e il clero locali per quanto atteneva la giurisdizione civile prima, l'influsso degli Estensi, alle volte mediato dai vescovi, poi.  Dopo il concilio di Trento, specie nei due secoli del governo pontificio, accanto alla radicale ristrutturazione urbanistica della città, l'intervento deciso di cardinal legati, vescovi e clero non mancò di farsi sentire, a sollievo della eccezionale indigenza locale, presso la S. Sede nei momenti della maggiore crisi economica (seconda metà del '600; seconda metà del '700). Non venne meno soprattutto, da parte dei vescovi e del clero, anche dopo l'unità d'Italia, una chiara testimonianza di sincera condivisione della povertà comune e di alacre impegno per la redenzione sociale del Basso Ferrarese.

 

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